Se vuoi la guerra, prepara il nucleare (e viceversa). Note su «Il mondo come Progetto Manhattan» di Jean-Marc Royer.
Quello che segue è più o meno il testo che ho utilizzato per presentare il libro di Royer a Castiglione dei Pepoli, lo scorso 27 giugno, su invito del comitato Crcti e con l’ospitalità della biblioteca comunale. È bene sapere che a meno d’una manciata di chilometri di lì sorge il centro di ricerca nucleare Enea del Brasimone, attualmente in fase di forte rilancio e rifinanziamento. Se ripubblicate altrove, indicate per favore fonte e autore.
Il mondo come Progetto Manhattan di Jean-Marc Royer ha il respiro dei grandi libri. È agli antipodi di quei saggi angusti, pieni di avvertimenti difensivi e sempre in fuga dalle conseguenze ultime dei temi che evocano. Il libro di Royer convoca saperi, raccoglie tracce e ricostruisce un pezzo della nostra esistenza collettiva per come è oggi e per come è uscita dalla fucina della Seconda guerra mondiale.
Il ricordo collettivo e istituzionale che si fa della Seconda guerra mondiale è una forma dell’oblio. Sul sigillo dell’oblio sono impresse due parole consolatorie: «mai più». Invece ciò che è uscito allora dall’otre del male continua ad accompagnarci, in forma di possibilità quando non già in forma di accadimento. Al contrario di adesso, negli anni Cinquanta su quei fatti si era raggiunta una grande lucidità. Hannah Arendt riconosceva nell’aver convocato sulla terra le forze e le energie del cosmo, come avveniva «nei laboratori dei fisici nucleari» e come altrettanto avveniva nei primi tronfi atti d’esplorazione spaziale (lo Sputnik del 1957), non un innalzamento della «statura dell’uomo» ma, al contrario, la distruzione di tutte le nostre caratteristiche più elevate. Per Günther Anders se Auschwitz aveva dimostrato che le persone potevano divenire eliminabili in forza di una decisione statuale burocraticamente eseguita, con Hiroshima e con l’era atomica (Atomzeitalter) a divenir pensabile come eliminabile era l’umanità intera. All’inizio degli anni Sessanta era ancora possibile riconoscersi, con Pasolini, sull’«orlo estremo di qualche età sepolta» dal quale assistere ai «primi atti della Dopostoria»; poi, nelle generazioni intellettuali successive, la consapevolezza aveva raggiunto un grado estremo di diluizione, fino a scomparire.
Mi è capitato di recente tra le mani un periodico “colto” (il New Yorker) della metà degli anni Sessanta. Basta sfogliarlo per capire cosa abbia sostituita la consapevolezza. Ogni pagina è un’ubriacatura di merci: profumi, automobili, servizi finanziari, viaggi, whisky, scarpe, altre automobili, caramelle, lingerie, linee aeree, alberghi. Un articolo appena un po’ lungo si dipana per decine di pagine in colonne spesso singole, in una trincea scavata lungamente e faticosamente in mezzo a ciò che sembra contare davvero: la pubblicità. Da allora in poi decenni di sovraesposizione televisiva hanno addestrato le persone a mantenersi in uno stato d’indeterminazione rispetto al vero e al finzionale, oscillando tra il totale cinismo e la credulità più sciocca. Così oggi può esserci comunicato il rilancio dell’energia atomica, divenuta improvvisamente green, proprio mentre ci si avverte che la guerra potrebbe colpire le centrali atomiche ucraine; così oggi l’autocrazia di Bruxelles può imporre un progetto di riarmo europeo e al tempo stesso dare l’impulso a costruire sempre più centrali atomiche, senza neppure preoccuparsi delle apparenze di un comportamento sensato.
Cos’è l’era atomica? Su questo Royer è inequivocabile. L’era atomica è quella dell’industria atomica; l’industria atomica è tanto quella civile che quella militare. Il primo reattore nucleare è stato attivato sotto le gradinate dello stadio dismesso del Campus dell’Università di Chicago il 2 dicembre 1942. Nel primo pomeriggio la massa critica per innescare la reazione a catena era raggiunta; Enrico Fermi l’aveva trovata estremamente easy to control:
«governare una pila [atomica] è facile come mantenere un’automobile in corsa su una strada diritta correggendo col volante quando la macchina tende a destra o a sinistra.»
Questo atto fondativo del nucleare civile avviene nell’ambito del Progetto Manhattan, cioè del più grande progetto militare mai esistito (Royer ne traccia le dimensioni nella prima parte del libro). In una conferenza del novembre del 1945 Robert Oppenheimer osserva che
«Dal punto di vista tecnico, le attività dei reattori e la produzione di armi sono correlate piuttosto strettamente. Là dove ci sono reattori attivi c’è una fonte potenziale di materiale per armamenti, [anche se] non necessariamente quella ideale; là dove si producono materiali per armi, questi possono essere usati per reattori adatti alla ricerca o allo sviluppo di energia.»
Non abbiamo comunque bisogno di conferme del fatto che nucleare civile e nucleare militare siano la stessa cosa, perché ce lo ricorda la stampa tutti i giorni, a proposito del nucleare iraniano. Israele, per restare in quella parte rovente del pianeta, ha un programma atomico civile ma anche un programma militare che è il segreto di Pulcinella. Questo programma militare si interseca a sua volta con il programma spaziale, perché i missili che portano i satelliti in orbita bassa sono null’altro che una variante dei missili balistici. Nel nucleare l’uso duale tra civile e militare - e triale se si considera l’industria spaziale - è sempre la norma e mai l’eccezione.
Sull’altro versante di quanto detto c’è l’uso civile del nucleare militare: Royer racconta del progetto Plowshare, cioè vomere, con il quale negli anni Cinquanta si progettava di aprire canali navigabili con l’uso di atomiche fatte esplodere in profondità. Qualcosa di simile (e triale) si è ripresentato di recente con l’idea di Musk di bombardare Marte per dare al pianeta un primo impulso di “terraformazione”, cosa che fa ha generato un gran numero di magliette (sic). Forse qualcuno sa che tra i compiti del centro Enea del Brasimone c’è la progettazione «di tecnologie nucleari [...] per la generazione di energia elettrica nelle missioni di esplorazione lunare», grazie a un accordo siglato con l’Agenzia spaziale italiana nel 2022.
[il testo continua dopo le magliette]
Astrazione
Auschwitz e Hiroshima sono da considerarsi eventi spartiacque, ognuno con proprie caratteristiche, che differiscono nel grado di astrazione. Auschwitz è astratto nel senso che è burocratico, fraziona le responsabilità, fornisce a ciascun complice il pretesto di aver obbedito a una legge, di aver fatto «solo il proprio dovere» all’interno della struttura omicidiaria dello stato nazista. Però l’astrazione a un certo momento, soprattutto al fondo della catena di comando, si infrange, così sono molte le persone ad avere a che fare con il gesto brutale dell’uccidere, aprire la valvola del gas, caricare l’arma, rivolgerla verso persone che un momento prima hanno potuto guardare negli occhi. Hiroshima sul piano dell’astrazione fa un salto; perfeziona la storia allora recente della guerra aerea, del terrore dal cielo, e lo fa appunto nel segno della massima astrazione. Le vittime non sono più individui, persino l’ultimo esecutore può ignorarle, ma sono solo coordinate sulla mappa geografica. «I carnefici sono scomparsi a favore di un artefatto tecnico-scientifico coronato da una terribile aura di potenza mortale», scrive Royer.
Royer ci ricorda più volte che questa astrazione ha radici plurisecolari, e che essa sorge nel rapporto di «profondo isomorfismo strutturale» tra capitalismo e conoscenza scientifica. Entrambi privano di sostanza la realtà e la sostituiscono con astrazioni numeriche; queste astrazioni numeriche diventano la nostra realtà. Per esempio: preparare la guerra, piegare la società al culto della morte procurata, ora si chiama «destinare il 5% del Pil alle spese di difesa». E cosa accomuna numeri, capitalismo ed energia nucleare? L’illimitatezza: il numero è infinito, il capitalismo vuole accrescere all’infinito i suoi denari, l’energia nucleare si promette infinita. Ma merci infinite, e infinita energia, non possono trovare posto in un pianeta finito, e neppure nelle nostre vite finite; e ciò non solo nei fatti esteriori, ma anche nell’anima, nella nostra esistenza nuclearizzata.
L’energia nucleare, con la sua illimitatezza, porta con sé la pretesa di modificare e governare le leggi della natura fino alle sue componenti fondamentali, quelle atomiche. Leggiamo questo poetico incipit di un articolo del 2023 da una pubblicazione dell’ENEA:
«Quando ci si si avvicina al Centro ENEA del Brasimone, la prima cosa che si nota è la “cupola” del reattore, come un monolite incastonato fra i monti dell’appennino tosco-emiliano e il lago. È una vista che lascia affascinati, come se quell’opera concepita dall’uomo per governare le leggi della natura, non potesse che essere costruita altro che lì.»
Un film che tutti conosciamo ci avverte però che i monoliti, nella storia del progresso tecnico umano, portano male. Ma se già la storia insegna poco, figuriamoci la fantascienza: ogni giorno vediamo realizzarsi Black Mirror, ma ciò non genera alcuna reazione nel pubblico pagante, se non la ricerca compulsiva di altri episodi della prossima distopia. E in ogni caso la gran parte di noi è sempre pronta a venerare un nuovo monolite, che poi sulle magliette fa la sua porca figura.
Nella scena finale di un altro film di Kubrick, il dottor Stranamore garantisce che gli individui destinati a sopravvivere alla (tanto agognata) guerra termonucleare avranno a disposizione «energia per secoli» grazie alle centrali nucleari. Quando Giorgia Meloni dice che grazie al rilancio del nucleare avremo «energia pulita, sicura e illimitata» sta rifilandoci, guarda un po’, lo stesso sogno del dottor Stranamore.
La seconda parte del libro di Royer è dedicata a Fukushima. Come già con i bombardamenti e gli esperimenti nucleari, anche nel 2011 tutta la potenza comunicativa degli stati e delle industrie si è messa al lavoro per minimizzare le conseguenze del disastro. Riporta Royer che la commissione d’inchiesta del parlamento giapponese appositamente istituita ha evidenziato, nel luglio 2012, che:
«Questo incidente nucleare è stato il risultato di: i) una collusione tra il governo, le autorità di regolamentazione e l’operatore e ii) di una gestione errata di questi organismi. Più in generale, l’energia nucleare è diventata una forza che sfugge al controllo della società civile. La sua regolamentazione è stata affidata a una burocrazia governativa impegnata nella sua promozione.»
Grazie alla fiction la tragedia di Černobyl' è stata attribuita all’ottusità burocratica sovietica. Non so dire quando ciò sia vero; di certo lo è solo per le cause immediate, perché la causa risalente è sempre nell’aver convocato le forze ingovernabili. Ma, restando alla questione burocratica, Fukushima dimostra che la stessa ottusità fatalmente si realizza in ogni organizzazione che sia schiacciata dalla sua complessità e dagli interessi in gioco, e sempre diviene irresponsabilità etica; proprio «il grande numero dei partecipanti e la complicazione dell’apparato» (Anders) rendono impossibile impedire la degenerazione dell’apparato stesso.
Illimitatezza
Come già detto, il libro di Royer si apre a una lettura critica del reale, e non si richiude nell’analisi dei suoi aspetti parziali. La terza e ultima parte del libro affronta il modo in cui si è imposta l’illimitatezza alla quale ho già fatto cenno. Illimitato è il numero del denaro che rappresenta le merci infinite; illimitata è la sostituzione della sostanza del mondo con il suo simulacro numerico. Nella Teodicea di Leibniz, pubblicata nel 1710 e pietra miliare, in parte misconosciuta, del pensiero moderno, il bene e il male si presentano sotto spoglie quantitative. Così, a fronte del prevalere della sofferenza in terra, Leibniz ipotizza che il riequilibrio quantitativo tra bene e male sia da affidarsi all’«altissimo numero di globi» che gravitano attorno alle stelle e oltre:
«non è forse possibile che al di là della regione delle stelle vi sia un grande spazio? Sia esso o meno il cielo empireo, questo immenso spazio che circonda tutta la regione stellare potrà, in ogni caso, essere pieno di felicità e di gloria.»
Con la digitalizzazione il processo di quantificazione del reale rompe ogni argine; e al tempo stesso, rompendo ogni argine, richiede un’immissione infinita di energia (è per questo che IA e nucleare si cercano a vicenda). In foro interno non distinguiamo più correttamente il mondo delle cose dalla sua riproduzione digitale, come è ben dimostrato dai bambini che cercano di ingrandire le figure di un libro ponendovi sopra le dita ed allargandole, come se stessero utilizzando un touchscreen. Ma si pensi anche agli architetti che costruiscono edifici e città che assomigliano sempre di più ai rendering che dovrebbero rappresentarli in fase progettuale, e che invece diventano la sostanza reale di quelle città. Da un certo punto di vista, il decoro è il tentativo di fare assomigliare la città alla proprio rendering.
Royer considera «la razionalità calcolatrice alla base di questo immaginario» come necessariamente «trasgressiva», e la massima delle trasgressioni che essa opera è quella al divieto di uccidere. La costruzione di impianti e di armi che hanno un potenziale distruttivo infinito è di per sé una trasgressione del divieto di uccidere. Da un lato dunque c’è la voglia sfrenata di guerra che attraversa i dottori e le dottoresse Stranamore che ci governano; dall’altro, nella vita civile, il divieto di uccidere viene ridotto a una percentuale di rischio (cioè a un numero), com’è per esempio quello radioattivo, da accettare affinché la nostra società possa funzionare così come è, cioè possa sprofondare sempre più in quell’abisso che è la crescita capitalistica.
La cosa paradossale è che la nostra società non è solo una società che corre continuamente un rischio smisurato, ma è, come tutti vediamo, è una società massimamente infelice. La società del capitalismo avanzato è la più infelice società che si possa immaginare, e lo testimonia la solitudine, la rabbia, l’uso di sostanze per consolarsi, di schermi per stordirsi, la paura e la crescente difficoltà ad alzare lo sguardo verso il simile, verso il nostro prossimo. Come scrive Anselm Jappe nella postfazione, «ci sono studi scientifici sui pericoli del nucleare, ma pochi sforzi per capire cosa significa vivere in una civiltà nuclearizzata». Questo è il non piccolo compito che si è assunto Jean-Marc Royer con il libro; e questo ne fa un libro che apre una strada necessaria.
Riferimenti
Il mondo come Progetto Manhattan di Jean-Marc Royer (2017; trad. it. Mimesis, 2023).
Hannah Arendt, Vita Activa (prima ed. or. 1958; it. Bompiani 1964) e La conquista dello spazio e la statura dell’uomo (or. 1963; raccolto in Verità e politica, Bollati Boringhieri, 1995).
G Anders: L’uomo è antiquato, vol. 1: Considerazioni sull'anima nell'epoca della seconda rivoluzione industriale (or. 1956; in Italia attualmente edito da Bollati Boringhieri).
Le parole di PPP sono dai versi noti come Io sono una forza del passato, in realtà 10 giugno 1962, in Poesia in forma di rosa, Garzanti 1964.
«To operate a pile is just as easy as to keep a car running on a straight road by adjusting the steering wheel when the car tends to shift right or left.» Da: Enrico Fermi, The Development of the First Chain Reacting Pile, in Proceedings of the American Philosophical Society, Jan. 1946, Vol. 90, No. 1, alle pagine 20-24. Trad. mia, come la seguente.
«Technically, the operation of reactors and the manufacture of weapons are rather closely related. Wherever reactors are in operation there is a potential source, not necessarily a convenient one, of materials for weapons; wherever materials are made for weapons they can be used for reactors that may be well suited to research or power development.» Da: Atomic Weapons di J. R. Oppenheimer, nello stesso numero dei Proceedings of the American Philosophical Society, pagine 7-10.
Sul missile balistico israeliano si veda qui.
L’immagine delle magliette è tratta dall’esito di questa ricerca su duckduckgo.
Il testo da una rivista dell’ENEA, a firma Mariano Tarantino, è disponibile qui e comprende anche il passaggio sul nucleare lunare.
Il film implicito è 2001: Odissea nello spazio (1968), di Stanley Kubrick.
Il passaggio richiamato del dottor Stranamore è qui.
Le dichiarazioni di Meloni sulla fusione nucleare sono riportate, per esempio, in questa Ansa.
La citazione di G. W. von Leibniz è in Saggi di Teodicea, edito da Rizzoli RCS, cap. 19.